Benvenuti nel Blog di Claudio Martinotti Doria, blogger dal 1996


"Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam", motto dell'Ordine dei Cavalieri Templari, Pauperes commilitones Christi templique Salomonis

"Ciò che insegui ti sfugge, ciò cui sfuggi ti insegue" (aneddotica orientale, paragonabile alla nostra "chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha pane")

"Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell'Occidente è che perdono la salute per fare soldi. E poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere nè il presente nè il futuro. Sono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto."
(Dalai Lama)

"A l'è mei mangè pan e siuli, putòst che vendsi a quaicadun" (Primo Doria, detto "il Principe")

"Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci." Mahatma Gandhi

L'Italia non è una nazione ma un continente in miniatura con una straordinaria biodiversità e pluralità antropologica (Claudio Martinotti Doria)

Il proprio punto di vista, spesso è una visuale parziale e sfocata di un pertugio che da su un vicolo dove girano una fiction ... Molti credono sia la realtà ed i più motivati si mettono pure ad insegnare qualche tecnica per meglio osservare dal pertugio (Claudio Martinotti Doria)

Lo scopo primario della vita è semplicemente di sperimentare l'amore in tutte le sue molteplici modalità di manifestazione e di evolverci spiritualmente come individui e collettivamente (È “l'Amor che move il sole e le altre stelle”, scriveva Dante Alighieri, "un'unica Forza unisce infiniti mondi e li rende vivi", scriveva Giordano Bruno. )

La leadership politica occidentale è talmente poco dotata intellettualmente, culturalmente e spiritualmente, priva di qualsiasi perspicacia e lungimiranza, che finirà per portarci alla rovina, ponendo fine alla nostra civiltà. Claudio Martinotti Doria

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Patriă Montisferrati

Patriă Montisferrati
Cliccando sullo stemma del Monferrato potrete seguire su Casale News la rubrica di Storia Locale "Patriă Montisferrati", curata da Claudio Martinotti Doria in collaborazione con Manfredi Lanza, discendente aleramico del marchesi del Vasto - Busca - Lancia, principi di Trabia

Come valorizzare il Monferrato Storico

La Storia, così come il territorio e le sue genti che l’hanno vissuta e ne sono spesso ignoti ed anonimi protagonisti, meritano il massimo rispetto, occorre pertanto accostarsi ad essa con umiltà e desiderio di apprendere e servire. In questo caso si tratta di servire il Monferrato, come priorità rispetto a qualsiasi altra istanza (personale o di campanile), riconoscendo il valore di chi ci ha preceduti e di coloro che hanno contribuito a valorizzarlo, coinvolgendo senza preclusioni tutte le comunità insediate sul territorio del Monferrato Storico, affinché ognuna faccia la sua parte con una visione d’insieme ed un’unica coesa identità storico-culturale condivisa. Se ci si limita a piccole porzioni del Monferrato, per quanto significative, si è perdenti e dispersivi in partenza.

Sarà un percorso lungo e lento ma è l’unico percorribile se si vuole agire veramente per favorire il Monferrato Storico e proporlo con successo come un’unica entità territoriale turistico culturale ed economica …

Negli Stati Uniti si è tornata a diffondersi l’ipotesi di una seconda guerra civile entro pochi anni. Il 41% degli americani ne è convinto

Sebbene rimanga uno scenario altamente improbabile vista la forza delle istituzioni degli Stati Uniti e delle agenzie governative che farebbero di tutto per scongiurare tale ipotesi, dopo tanti conflitti all’estero, dal 2016 in poi, con l’ascesa al potere di Donald Trump, negli Stati Uniti si è tornata a ventilare l’ipotesi di una seconda guerra civile. In questi anni, infatti, i momenti di grande tensione ed estrema polarizzazione del dibattito non sono mancati: dalla proteste di Black Lives Matter a seguito dell’omicidio di George Floyd, passando per l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021; fino alle parole del presidente Joe Biden che ha definito il suo avversario Trump “un pericolo per la democrazia”, mentre il tycoon deve affrontare una serie di processi penali da lui stesso definiti una “caccia alle streghe” orchestrata proprio da Biden e dai suoi presunti complici del Dipartimento di Giustizia. Uno scenario a cui va aggiunto lo scontro politico-istituzionale senza precedenti tra il Texas e gli stati repubblicani contro Washington sulla vicenda dei migranti e le divisioni che non riguardano solamente l’ambito politico, ma soprattutto quello culturale e sociale, con battaglie che si consumano nei consigli scolastici e nelle università tra conservatori e progressisti woke. Di queste profonde divisioni – per ora, pacifiche – se n’è parlato in questi anni in diversi libri come Uncivil Agreement di Lilliana Mason, Why We’re Polarized di Ezra Klein, oltre a The Field of Blood di Joanne B. Freeman e Bring the War Home di Kathleen Belew. Ma della prospettiva di una guerra civili se ne sono occupati anche accademici in saggi come How Civil Wars Start (2022) di Barbara Walter, una politologa, e The Next Civil War (2022) di Stephen Marche, un saggista. Secondo quest’ultimo, citato dall’Economist, “gli Stati Uniti sono un esempio da manuale di un Paese avviato verso la guerra civile”, sottolineando la mancanza di fiducia degli americani nei meriti della democrazia.

Il film che ha riacceso il dibattito

Anche il cinema ha recentemente raccontato la suggestione di una futura e probabile guerra civile. Civil War – pellicola con Kirsten Dunst nei panni di una reporter di guerra che ha incassato più di 100 milioni di dollari al botteghino in tutto il mondo – dello sceneggiatore e regista Alex Garland sfata il tabù di un’inimmaginabile guerra civile, descrivendo un’America del futuro dilaniata dal conflitto domestico e dalla violenza delle milizie, con un leader autoritario alla Casa Bianca, un tentativo di colpo di stato e americani che si sparano a vicenda in strada. Nel film, infatti, Texas e California sono alleate in un ipotetico e improbabile “fronte occidentale” contro il governo federale, secessione a cui si aggiunge anche la Florida. Il presidente, un autoritario al terzo mandato interpretato da Nick Offerman, promette di schiacciare i ribelli e lancia attacchi droni contro i suoi stessi concittadini, facendo sprofondare il Paese nella povertà e nell’illegalità.

Il sondaggio “shock” di Rasmussen

Se ne parla talmente tanto, di una prospettiva disastrosa di questo tipo, che gli americani stanno cominciando a credere che si tratti di un’ipotesi plausibile. Secondo sondaggio “shock” di Rasmussen Reports, sebbene la maggioranza degli intervistati si dichiari scettica rispetto a tale eventualità (49%), il 41% degli americani teme che una guerra civile possa scoppiare nei prossimi cinque anni, compreso il 16% che afferma che l’ipotesi è “molto probabile” nello stesso arco di tempo. Il 10% si dichiara incerto sul futuro ma è un dato di fatto che la “possibilità che l’America possa presto affrontare un’altra guerra interna non è troppo remota per molti elettori”, come hanno notato i sondaggisti di Rasmussen. Il 37% ritiene inoltre che una nuova guerra civile sia più probabile se il presidente Joe Biden vincerà le elezioni di quest’anno, mentre il 25% pensa al contrario sia più probabile se a prevalere sarà l’ex presidente Donald Trump.

Il 30%, infine, afferma che la vittoria delle elezioni di quest’anno non farà molta differenza sulla probabilità di una guerra civile. Ma quello di Rasmussen non è l’unico sondaggio a confermare i timori degli americani: come riporta l’Economist, già nel 2022 YouGov rilevava che il 43% degli americani riteneva che una guerra civile fosse “almeno in qualche modo probabile”. In effetti, cosa accadrebbe nell’ipotesi – improbabile – che Donald Trump venga condannato per uno dei processi in cui è implicato prima delle elezioni presidenziali di novembre? Come reagirebbero i suoi sostenitori Maga? In un’intervista rilasciata alla Cnn, Joe Biden ha affermato che il suo rivale repubblicano “non accetterà” il risultato del voto, come fece nel 2020. “Potrebbe non accettare il risultato delle elezioni, vi assicuro che non lo accetterà”, ha detto il presidente Usa. Dichiarazioni che la dicono lunga su una democrazia sempre più precaria e in crisi d’identità.

In Ecuador un’antica tecnica indigena risalente agli Inca ha riportato l’acqua in una città arida

 

In Ecuador un’antica tecnica indigena ha riportato l’acqua nella città arida

17 Maggio 2024

https://www.lindipendente.online/2024/05/17/in-ecuador-unantica-tecnica-indigena-ha-riportato-lacqua-nella-citta-arida/

 

Una piccola città nel sud dell’Ecuador ha risolto il problema della siccità ricorrendo ad un antico sistema di raccolta dell’acqua piovana utilizzato in passato dagli indigeni dell’era preincaica, i Palta. Stiamo parlando di Catacocha, cittadina ubicata in una provincia nota per le condizioni di aridità al limite dell’estremo. Le piogge compaiono solo due mesi l’anno, tra gennaio e febbraio, e i cambiamenti climatici non stanno facendo altro che esacerbare la cosa. L’inaspettata soluzione è arrivata quindi volgendo uno sguardo al passato, a un antico sistema di lagune artificiali che i popoli nativi utilizzavano per fronteggiare la già allora intensa aridità. Lo storico locale che l’ha scoperto, Galo Ramón, ha convinto gli abitanti di Catacocha ad applicarlo e i risultati sono stati sorprendenti. A distanza di nove anni, il cambiamento avvenuto è visibile.

Nel 2005, la comunità ha ricreato, in uno dei punti più in alto di Catacocha, il Cerro Pisaca, questo sistema di raccolta e approvvigionamento idrico ideato dai Palta, una comunità indigena che viveva nella zona più di mille anni fa. Il sistema, costituito da 250 lagune artificiali sulla montagna, ha permesso agli abitanti di questa città arida lo stoccaggio dell’acqua piovana e di avere così sempre risorsa idrica a sufficienza per i raccolti e l’allevamento. Prima della realizzazione del sistema idraulico indigeno, ad agosto, non c’era quasi più acqua al punto che gli abitanti ne avevano solo per un’ora al giorno. Ora, invece, il sistema fa sì che l’acqua raccolta nei primi due mesi dell’anno duri fino alle successive precipitazioni. Lo storico Galo Ramón ha scoperto il sistema indigeno mentre stava conducendo uno delle sue indagini su dei documenti del 1680 che parlavano di un conflitto fondiario tra i comuni di Coyana e Catacocha. La disputa riguardava una laguna a Pisaca, della quale era anche riportato un disegno. «I Palta – ha spiegato Galo Ramón – hanno creato questo sistema perché sapevano della siccità. Le piogge qui possono concentrarsi in uno o due mesi. Si tratta di piogge violente che portano alla caduta di oltre 700 millimetri di acqua in meno di 60 giorni. Stoccare l’acqua piovana, dosare l’infiltrazione e ricaricare le falde acquifere era l’unico modo per far fronte a tale aridità».

Il sistema, infatti, non prevede solo dei banali serbatoi per la raccolta dell’acqua piovana, bensì un’adeguata gestione del deflusso attraverso piccoli muri di contenimento. «I Palta – ha aggiunto Ramón – sapevano dove c’era più permeabilità nel terreno osservando quella che io chiamo la linea del verde. Questa linea si può osservare in agosto o settembre, quando in assenza di piogge le piante con radici profonde resistono assorbendo acqua dal sottosuolo e ci permettono di vedere dove si trova la falda acquifera. È lì che hanno creato le lagune». Galo Ramón è oggi a capo della Fundación Comunidec, un’organizzazione che si batte per i diritti umani attraverso la quale gli abitanti del luogo hanno potuto riabilitare le due lagune più grandi costruite dai Palta e, in cinque anni, realizzare le altre 248. Le due lagune più grandi, al centro del sistema, raccolgono l’acqua piovana che inizia a scendere di laguna in laguna nel sottosuolo fino a raggiungere e alimentare delle sorgenti naturali. La capacità di stoccaggio delle 28 lagune più vicine al Cerro Pisaca è di 182.482 metri cubi. A  stimarlo il libro “L’ecoidrologia e la sua attuazione in Ecuador”, pubblicato con il supporto dell’UNESCO. Il successo del sistema lagunare indigeno di Catacocha è stato infatti tale che, nel 2018, il Programma Idrologico Internazionale dell’UNESCO ha incluso l’area nella sua lista di siti dimostrativi di ecoidrologia.

[di Simone Valeri]

 

I tumulti in Georgia sono fomentati dall’Occidente per sottrarre il paese dalla sfera d’influenza russa e avviare nuovi focolai bellici.

 

La Georgia in bilico


di Giacomo Gabellini per l'AntiDiplomatico

 

Nella seconda metà degli anni ’90, l’allora presidente georgiano Edvard Ševardnadze attuò una politica di apertura alle agenzie straniere destinata a condizionare profondamente gli orientamenti politici ed economici del Paese. Al punto che, nell’arco di un trentennio scarso, la Georgia – popolata da poco più di tre milioni di abitanti – è arrivata ad annoverare oltre 25.000 Organizzazioni Non Governative (Ong) in il cui bilancio dipende pressoché integralmente dai finanziamenti erogati dai grandi donatori occidentali sia pubblici che privati. I quali, oltre ai fondi, garantiscono accesso alle ambasciate e più in generale agli uffici di rappresentanza statunitensi ed europei, assicurando alle Ong notevole una influenza politica decisiva ma svincolata da qualsiasi responsabilità nei confronti dei cittadini.

A partire dal 2003, sulla scia della cosiddetta Rivoluzione delle Rose guidata da Mikheil Saakašvili, avvocato e ministro della Giustizia sotto Ševardnadze formatosi presso la Columbia University e la George Washington University, decine di professionisti alle dipendenze delle principali Ong cominciarono ad assumere rapidamente il controllo del governo e della macchina statale, colonizzando segmenti cruciali del comparto pubblico quali sanità, istruzione e giustizia e definendo gli indirizzi in materia di sviluppo del settore privato. Di conseguenza, la Georgia è andata trasformandosi in una sorta di laboratorio deputato alla sperimentazione dei progetti di riforma concepiti all’estero, finanziati da fondi stranieri e appaltati alle Ong locali. Come evidenziano le specialiste Almut Rochowanski e Sopo Japaridze, «la situazione è in pratica più o meno questa: un’importante agenzia di aiuti allo sviluppo o un finanziatore internazionale, ad esempio l’Usaid, la Commissione Europea o la Banca Mondiale, ha ideato un nuovo modello per la riforma dell’istruzione, che ora prevede di implementare non solo in Georgia, ma in genere in tutta una serie di Paesi. Per dotarla di una patina di partecipazione comunitaria, l’agenzia umanitaria incarica le Ong georgiane di svolgere il lavoro quotidiano: introdurre questo o quel nuovo modo di fare le cose a funzionari, insegnanti e dirigenti scolastici così da istruirli alle nuove competenze di cui presumibilmente avranno bisogno. Nessuno chiede agli insegnanti, ai genitori, agli studenti o, del resto, all’elettorato in generale, di cosa hanno bisogno e cosa vogliono e come potrebbero migliorare le cose. Le persone si sentono inascoltate, ignorate, trattate con condiscendenza – e anche inadeguate quando non riescono a raggiungere i parametri di riferimento imposti da questo “nuovo corso”».

Sogno Georgiano, la compagine politica al potere dal 2012, risulta perfettamente integrato nel sistema “Ong-centrico” messo in piedi da Ševardnadze e Saakašvili, perché al pari dei maggiori partiti d’opposizione si compone per lo più di politici formatisi – solitamente in giurisprudenza – nelle maggiori università statunitensi ed europee, con all’attivo incarichi presso le Nazioni Unite, le agenzie internazionali e, soprattutto, le Ong locali. Le quali rappresentano una vera e propria corsia preferenziale per l’ottenimento di elevati livelli di remunerazione, viaggi all’estero, ricevimenti nelle ambasciate, ecc. Si tratta di un formidabile ascensore sociale, di gran lunga più efficace rispetto a quello garantito dall’insegnamento accademico o dall’esercizio di professioni legate all’ambito pedagogico, giuridico, medico e scientifico. I curriculum dei rappresentanti di punta di Sogno Georgiano, dei partiti d’opposizione e degli amministratori delle Ong finanziate dall’estero risultano in molti casi sovrapponibili, e questo spiega la comune vocazione “europeista” e l’identica propensione per una gestione del potere di stampo tecnocratico e liberista. Lo si evince dalle vicissitudini attraversate dall’Economic Liberty Act (Ela), una legge fondamentale introdotta nel 2011 sotto la presidenza di Saakašvili che proibisce l’innalzamento delle aliquote fiscali e l’applicazione pratica del concetto di tassazione progressiva, ponendo allo stesso tempo un tetto massimo alla spesa pubblica pari al 30% del Pil. L’Ela è rimasto regolarmente in vigore nell’arco dei dodici anni in cui Sogno Georgiano è rimasto al governo, conformemente alla raccomandazioni di Transparency International Georgia, potentissima Ong attualmente schierata in prima linea contro il governo.

In presenza di una cristallizzazione degli assetti interni tanto consolidata, l’oggetto del contendere tra le varie cordate non può che riguardare l’assunzione più o meno diretta delle redini del governo. È in questa luce che sembra maggiormente proficuo leggere le attuali turbolenze politiche sorte riguardo alla cosiddetta legge sulla “influenza straniera”, frutto di una rielaborazione della legge sugli “agenti stranieri” presentata senza successo nella primavera del 2023. La quale impone a grandi mezzi di comunicazione e associazioni che ricevono dall’estero più del 20% dei propri fondi di registrarsi in un apposito elenco e inviare al Ministero degli Interni la relativa documentazione finanziaria, pena una sanzione corrispondente a circa 10.000 dollari. L’iniziativa scaturisce dall’intenzione dei rappresentanti di Sogno Georgiano di assestare un colpo potenzialmente definitivo alla nebulosa di Ong collegate al precedente governo imperniato sul Movimento Nazionale Unito di Saakašvili, che si avvalgono sistematicamente della propria influenza per acquisire potere a scapito della compagine a capo dell’esecutivo. «Da circa cinque anni – spiegano Rochowanski e Japaridze – costoro negano la legittimità del governo e ne chiedono la cacciata, e non solo sostenendo l’opposizione alle elezioni, che già oltrepassa i limiti etici per le organizzazioni non governative (e ancor più quando sono finanziate da stati esteri). Si agitano per un cambiamento rivoluzionario del potere al di fuori dei processi democratici e costituzionali. In precedenza, avevano chiesto di essere messi al potere come governo tecnico, ma poiché nessuno (certamente non l’elettorato georgiano) ha accettato questa offerta, si sono avventurati in proteste di piazza e hanno preso d’assalto il Parlamento e gli edifici governativi. Esercitano anche pressione sull’Unione Europea e sugli Stati Uniti per sanzionare i leader di Sogno Georgiano […]. Gli attivisti in Georgia sanno fin troppo bene cosa ci si aspetta da loro e quali comportamenti sono puniti e premiati: essere critici nei confronti del governo su Facebook ti farà guadagnare notevoli sovvenzioni […]. Qualche anno fa, quando i donatori occidentali consideravano Sogno Georgiano un prezioso alleato, dicevano agli attivisti georgiani di smetterla di criticarli. Ora vogliono che gli attivisti si schierino contro Sogno Georgiano. I donatori monitorano anche i profili dei social media degli attivisti e possono esserci conseguenze per la pubblicazione di cose sbagliate».

La legge sulla “influenza straniera” concepita in un’ottica di regolamento di conti interno ha in altri termini prodotto una pericolosa convergenza di interessi tra Ong connesse alle forze d’opposizione, sovvenzionatori internazionali e cancellerie occidentali. A partire da quella di Bruxelles, prontissima a vincolare il processo di adesione alla Georgia all’Unione Europea all’abbandono del provvedimento su cui il governo di Tbilisi ha investito gran parte del capitale politico a propria disposizione. I principali rappresentanti istituzionali dell’Unione Europea continuano a sottolineare l’incompatibilità della legge sulla “influenza straniera” con non meglio specificati “valori europei”, mentre i ministri degli Esteri di Estonia, Lituania e Islanda hanno preso pubblicamente parte alle manifestazioni di protesta organizzate nei pressi del Parlamento georgiano dall’opposizione. Le loro “irruzioni” fanno seguito alla visita a Tbilisi di Michael Roth, che in qualità di presidente della commissione per gli affari esteri del Bundestag tedesco ha dichiarato che «siamo molto delusi perché stiamo combattendo per la Georgia nel suo lungo e accidentato cammino verso l’Unione Europea».

Si tratta di prese di posizione insidiosissime, non soltanto perché palesemente lesive della sovranità di Tbilisi, ma perché suscettibili di incendiare letteralmente le piazze, che vanno riempiendosi di cittadini completamente disinteressati della legge in sé ma profondamente preoccupati dalle sue implicazioni: «l’aspirazione ad aderire all’Unione Europea – rilevano ancora Rochowanski e Japaridze – rappresenta il nervo scoperto della politica e della cultura georgiana. Dopo tre decenni di impoverimento post-sovietico, di vite stroncate, di dolore e traumi, di stress cronico, di insicurezza e di umiliazione, l’idea di entrare nell’Unione Europea si è trasformata in un progetto escatologico per molti georgiani. L’Unione Europea costituisce non solo la realizzazione dei sogni (benessere materiale, sicurezza, dignità) ma anche il riconoscimento dell’intrinseca “europeità” dei georgiani, della loro particolarità, della loro superiorità culturale rispetto ai loro vicini “asiatici”. D’altra parte, molti georgiani che scendono in strada con le bandiere dell’Unione Europea hanno preoccupazioni meno metafisiche e piuttosto terrene: in recenti sondaggi, i georgiani classificano l’opportunità di emigrare come la ragione principale aderire all’Unione Europea […]. Soltanto nel 2021 e nel 2022, più del 5% della popolazione ha lasciato il Paese, il larghissima parte per rimpinguare il mercato nero del lavoro in Europa».

Anche gli Stati Uniti si sono mobilitati. La rivista «Politico» ha informato che «i funzionari statunitensi hanno minacciato di sanzionare i politici georgiani a causa del disegno di legge, che secondo gli Usa minerebbe la democrazia georgiana […]. Mentre si trovava in Georgia, l’assistente segretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici James O’Brien ha parlato con il primo ministro, i leader dell’opposizione e altri esponenti politici. Qualora la legge dovesse entrare in vigore, ha assicurato O’Brien, verranno applicate restrizioni dagli Stati Uniti che influenzeranno le finanze o i viaggi degli individui responsabili». Siamo quindi alle minacce aperte, formulate nonostante la legge sulle “influenze straniere” ricalchi sotto molti aspetti i contenuti del Foreign Agents Registration Act statunitense, che impone la “public disclosure” di individui o enti che svolgano attività di lobby o di sostegno a governi, organizzazioni o cittadini stranieri tramite registrazione presso il Ministero della Giustizia, da effettuare a chiarimento dei rapporti con questi enti stranieri, della propria attività a loro favore e dei compensi percepiti. Più che all’assai maggiormente stringente legge adottata in Russia, il provvedimento predisposto da Sogno Georgiano sembra ispirata alla sotto molti aspetti analoga legge statunitense.

Segno che l’accanimento del fronte euro-statunitensi nei confronti della legge sulla “influenza straniera” risponda a logiche ben diverse. E che nasca cioè dalla percezione, ha dichiarato sempre a «Politico» il  politologo Francis Fukuyama, che «i Paesi vicini alla Russia hanno iniziato ad adottare apertamente sentimenti favorevoli alla leadership del Cremlino e sembrano preoccuparsi sempre meno di preservare i legami con l’Occidente» man mano che le forze armate russe registrano progressi sul campo di battaglia ucraino. Secondo Fukuyama, «nonostante le parole forti pronunciate dal consigliere per la Sicurezza Nazionale Jake Sullivan e da altri alti funzionari statunitensi, la Georgia e i Paesi circostanti non temono la reazione occidentale. E questo diventerà ancora più evidente se la Russia manterrà il suo slancio».

Per l’ex primo ministro georgiano Bidzina Ivanišvili, fondatore del partito Sogno Georgiano, la postura assunta dagli Stati Uniti e la sistematica manipolazione delle Ong locali da parte di Washington punta a trasformare la Georgia in un nuovo soggetto statale da sacrificare sull’altare della lotta contro la Russia. «La ragione principale dell’aggressione portata dal “partito globale della guerra” nei confronti della Georgia – ha dichiarato Ivanišvili – è data dal fatto che non si è ancora riusciti a trasformare il Paese in un secondo fronte della guerra contro la Russia nonostante i grandi sforzi profusi […]. L’opinione pubblica spesso si chiede il perché all’estero si battano con tanto fervore contro la legge che impone la trasparenza alle Ong».

l'Occidente ha spinto Mosca nelle braccia di Pechino creando l'attuale alleanza strategica, potente e irreversibile

 

L'alleanza (ormai strategica) sino-russa e i "calcoli" dell'occidente


di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico

 

Per comprendere l'attuale alleanza strategica esistente tra la Russia e la Cina bisogna interrogarsi su cosa abbia spinto Mosca nelle braccia di Pechino, nonostante il rischio esistenziale per i russi di perdere lo scrigno preziosissimo siberiano a favore di Pechino.

Certamente la prima importante frattura tra Mosca e Occidente è stata quella verificatasi a causa del colpo di stato di Majdan che ha messo al potere un governo filo occidentale disarcionando quello filo russo di Yanukovic (eletto democraticamente dal popolo, va ricordato). A questa grave crisi internazionale, in qualche modo, sembrava che si fosse messo rimedio con i cosiddetti accordi di Minsk che avevano circoscritto la crisi nelle regioni ucraine separatiste del Donbass.

Infatti non sembra azzardato sostenere che i russi fossero intenzionati a mantenere la neutralità assoluta nello scontro che sempre di più si stava manifestando tra Pechino e l’Occidente allargato, anche se alla fine è più corretto dire tra USA, Gran Bretagna e Francia, visto che, per esempio la Germania intratteneva enormi rapporti commerciali e di investimento con la Cina, quasi al limite della “tresca”.

A dimostrazione - difficilmente confutabile - di quanto sto sostenendo basta ricordare che Putin in una intervista televisiva, ad una domanda specifica sulla guerra commerciale che stava iniziando tra Pechino e Washington, rispose: «I cinesi hanno un detto "Quando due tigri combattono nella valle, la scimmia intelligente siede di lato e aspetta di vedere come finisce"» [Intervista del 7 giugno 2019 – vedi sotto il filmato]. Segno evidente che a Mosca nessuno aveva intenzione di schierarsi in una guerra molto pericolosa.


Sfortunatamente le cose sono andate diversamente rispetto a come Putin avrebbe voluto; infatti, con il ritorno alla Casa Bianca dei Democratici di Biden, gli americani hanno fatto una scelta molto rischiosa ma probabilmente obbligata. Mi riferisco a quella che io chiamo “Opzione Bismark” in onore della celebre frase dello statista tedesco che amava dire «Conosco mille modi per far uscire l'orso russo dalla tana, non ne conosco manco uno per farcelo rientrare». Infatti, gli americani convinsero (certamente in maniera “spontanea”) i pupazzi di Kiev a costruire un dispositivo militare ai confini del Donbass che infrangesse gli accordi di Minsk e minacciasse un'invasione delle repubbliche secessioniste filorusse, così da provocare l'entrata diretta delle armate del Cremlino in territorio ucraino. Di qui il conseguente esplodere del conflitto tra Mosca e Kiev e l'imposizione di enormi sanzioni alla Russia che hanno ottenuto l'effetto di rovinare la competitività europea e di creare una saldatura ormai indivisibile tra Mosca e Pechino.

Se in apparenza la scelta di Washington può apparire un errore di portata storica va ricordato che per Washington (ma anche per Parigi e Berlino) era altrettanto importante distruggere la competitività tedesca e dei suoi paesi satelliti visto l'enorme avanzo commerciale che Berlino poteva vantare sugli USA e su Gran Bretagna e Francia. Dunque recidere il cordone ombelicale tra Germania e Russia (peraltro plasticamente rappresentato dal gasdotto NorthStream poi sabotato) era fondamentale e conseguentemente la guerra in Europa diviene necessaria. Probabilmente le cose sarebbero andate diversamente se Obama anziché cincischiare con improbabili trattati commerciali tra EU e USA avesse da subito rimesso a posto la Merkel all’epoca in cui la Cancelliera tedesca “bullizzava” la Grecia. 

Purtroppo la storia non si fa con i se e con i ma....

E ora non ci rimane che assistere alla pomposa visita di stato di Putin a Pechino mentre cresce a livelli sbalorditivi l'interscambio commerciale, di investimenti e tecnologico tra i due colossi.

I dati doganali cinesi hanno rivelato che il commercio tra Cina e Russia è salito alla cifra record di 240 miliardi di dollari nel 2023 mentre quello nel primo trimestre del 2024 è aumentato del 5,2% su base annua raggiungendo i 56,68 miliardi di dollari.

In particolare, per quanto riguarda il settore energetico nel 2023, la Russia è diventata il maggiore fornitore di petrolio della Cina, esportando 107 milioni di tonnellate, in crescita del 24% mentre le esportazioni di carbone verso la Cina sono cresciute di quasi 1,5 volte nel 2023, superando i 100 milioni di tonnellate. Sempre l'Agenzia delle dogane cinese ha segnalato che anche le esportazioni russe di GNL verso la Cina sono aumentate del 23% nel 2023, raggiungendo gli otto milioni di tonnellate. Così come le consegne di gas tramite lo strategico gasdotto Power of Siberia sono cresciute del 47% nel 2023, per un totale di 22,7 miliardi di metri cubi.

Inoltre la Cina è stata il più grande investitore straniero nell'Estremo Oriente russo nel 2023, e questo anche grazie all’implementazione del progetto di apertura alla Cina del porto russo di Vladivostok che consentirà lo sviluppo della Manciuria che ritrova così il suo naturale sbocco al mare. Per non parlare poi del colossale progetto della ferrovia Baikal-Amur che collegherà meglio Cina e Russia e che approfondirà ulteriormente   i rapporti commerciali tra i due paesi fino a far diventare quest'area uno dei maggiori polo di sviluppo mondiale.

Si tratta dunque di progetti colossali ai quali poi va aggiunta sia la cooperazione in ambito tecnologico che riguarda per esempio il settore dell'energia nucleare, con piani fino al 2030 per creare reattori a neutroni veloci in Cina basati sulla tecnologia russa, sia la partenza della centrale nucleare sino-russa di Xudapu che inizierà le operazioni tra il 2027-2028.

Una collaborazione che ormai si estende anche al settore finanziario e monetario con il  92% delle transazioni commerciali tra i due paesi che vengono condotte utilizzando le valute nazionali. Un progetto questo che sostiene il processo di dedollarizzazione ormai apertamente perseguito da Pechino e Mosca e che ormai trascende il carattere economico e finanziario per assumere valenza politica, diplomatica e militare essendo poi il Nodo di Gordio elemento fondamentale della crisi in corso tra i due colossi euro-asiatici e l'Occidente.

Un’alleanza quella tra Mosca e Pechino certamente proficua per tutte e due le potenze e che rende la Russia in grado di reggere il suo sforzo bellico a occidente, ma che può essere doppiamente pericolosa per Mosca. Primo perché potrebbe spingere gli occidentali a fare colpi di testa irreparabili nella guerra in Ucraina, come per esempio l'entrata diretta di truppe occidentali nel conflitto e, secondo, perchè consente l'inizio di una colonizzazione cinese della Siberia. La legge di natura secondo cui un vuoto viene sempre riempito, vale anche per la Siberia.

n Russia è in atto una enorme trasformazione e l’Occidente è cieco di fronte ad essa

 

Dmitry Trenin: In Russia è in atto una enorme trasformazione e l’Occidente è cieco di fronte ad essa

La trasformazione della società russa, iniziata prima dello scoppio dei combattimenti in Ucraina all'inizio del 2022, sembra ormai irreversibile.

Dmitry Trenin
swentr.site

A due anni e mezzo dall’inizio della guerra contro l’Occidente in Ucraina, la Russia è certamente sulla strada della ricerca di un nuovo senso di sé.

Questa tendenza era in realtà precedente all’operazione militare, ma, come risultato, ne è uscita fortemente amplificata. Dal febbraio 2022, i russi vivono in una realtà completamente nuova. Per la prima volta dal 1945, il Paese è davvero in guerra, con aspri combattimenti in corso lungo una linea del fronte di 2.000 chilometri e non troppo lontano da Mosca. Belgorod, un capoluogo di provincia vicino al confine ucraino, è continuamente sottoposto a micidiali attacchi di missili e droni da parte delle forze di Kiev.

Occasionalmente, i droni ucraini si spingono molto più in profondità oltre il confine. Eppure, Mosca e le altre grandi città continuano a vivere come se non ci fossero la guerra e (quasi) le sanzioni occidentali. Le strade sono piene di gente e i centri commerciali e i supermercati offrono la solita abbondanza di beni e generi alimentari. Si potrebbe concludere che Mosca e Belgorod sono la storia di due Paesi, che i russi riescono a vivere contemporaneamente sia in tempo di guerra che in tempo di pace.

Questa sarebbe una conclusione sbagliata. Anche la parte del Paese che apparentemente vive “in pace” è notevolmente diversa da come era prima dell’inizio del conflitto in Ucraina. L’obiettivo centrale della Russia post-sovietica – il denaro – non è stato eliminato, certo, ma ha certamente perso il suo dominio indiscusso. Quando molte persone – non solo soldati ma anche civili – vengono uccise, tornano in auge altri valori non materiali. Il patriottismo, vituperato e deriso dopo il crollo dell’Unione Sovietica, sta riemergendo con forza. In assenza di nuove mobilitazioni, le centinaia di migliaia di persone che firmano contratti con le forze armate sono motivate dal desiderio di aiutare il Paese. Non solo per quello che possono ottenere da esso.

La cultura popolare russa sta abbandonando – forse lentamente, ma costantemente – l’abitudine di imitare ciò che va di moda in Occidente. Al contrario, le tradizioni della letteratura russa, tra cui la poesia, il cinema e la musica, sono state riprese e sviluppate. Un’impennata del turismo interno ha aperto ai russi comuni i tesori del proprio Paese, fino a poco tempo fa trascurati, mentre diminuisce la sete di viaggi all’estero. (I viaggi all’estero sono ancora possibili, ma le difficoltà logistiche rendono sempre più difficile raggiungere altre parti d’Europa).

Dal punto di vista politico, non esiste un’opposizione all’attuale sistema. Quasi tutte le sue ex figure di spicco sono all’estero e Alexey Navalny è morto in prigione. Molte ex icone culturali che, dopo il febbraio 2022, avevano deciso di emigrare in Israele, Europa occidentale o altrove, stanno rapidamente diventando le celebrità di ieri, mentre il Paese va avanti. I giornalisti e gli attivisti russi che criticano la Russia da lontano stanno perdendo sempre di più il contatto con il loro vecchio pubblico e vengono accusati di servire gli interessi dei Paesi che combattono la Russia nella guerra per procura in Ucraina. Per contro, quasi i due terzi dei giovani che nel 2022 avevano abbandonato la Russia per paura di essere mobilitati sono tornati, alcuni di loro piuttosto amareggiati dalla loro esperienza all’estero.

La dichiarazione di Putin sulla necessità di una nuova élite nazionale e il fatto che abbia promosso dei veterani di guerra come nucleo di tale élite, in questa fase è più un’intenzione che un piano reale, ma l’élite russa sta sicuramente vivendo un enorme ricambio. Molti magnati liberali hanno definitivamente abbandonatola Russia, il loro desiderio di mantenere i loro beni in Occidente ha finito per separarli dal loro Paese natale.

Coloro che sono rimasti in Russia sanno che gli yacht nel Mediterraneo, le ville in Costa Azzurra e i palazzi a Londra non sono più a loro disposizione, o almeno non sono più sicuri da mantenere. In Russia sta emergendo un nuovo modello di uomo d’affari di medio livello: quello che unisce il denaro all’impegno sociale (non il modello ESG [Environmental Social, Governance]) e che costruisce il proprio futuro all’interno del Paese.

La cultura politica russa sta tornando ai suoi fondamenti. A differenza di quella occidentale, ma in qualche modo simile a quella orientale, si basa sul modello della famiglia. C’è ordine e c’è una gerarchia, i diritti sono bilanciati dalle responsabilità, lo Stato non è un male necessario ma il principale bene pubblico e il massimo valore sociale. La politica, nel senso occidentale di competizione costante e senza esclusione di colpi, è vista come egoista e distruttiva; al contrario, coloro che sono incaricati di essere alla guida dello Stato sono tenuti ad arbitrare, a garantire l’armonia dei vari interessi, ecc. Naturalmente, questo è un ideale piuttosto che una realtà. Nella realtà le cose sono più complesse e complicate, ma la cultura politica tradizionale, nel suo nucleo, è viva e vegeta e gli ultimi 30-40 anni, pur essendo stati estremamente istruttivi e di grande impatto, non l’hanno stravolta.

Anche l’atteggiamento russo nei confronti dell’Occidente è complesso. Vengono apprezzate la cultura occidentale classica e moderna (ma non tanto quella postmoderna), le arti e la tecnologia e, in una certa misura, il tenore di vita. Negli ultimi tempi, la vecchia immagine positiva e genuina dell’Occidente come società è stata rovinata dalla promozione aggressiva dei valori LGBTQ, della cancel culture e simili. È cambiata anche la visione delle politiche occidentali, della politica e soprattutto dei politici, che hanno perso il rispetto che la maggior parte dei russi aveva un tempo per loro. La visione dell’Occidente come avversario ereditario della Russia ha acquisito nuovamente importanza – non principalmente a causa della propaganda del Cremlino, ma per le politiche dell’Occidente stesso, dalla fornitura all’Ucraina di armi che uccidono soldati e civili russi, alle sanzioni che per molti versi sono indiscriminate, ai tentativi di cancellare la cultura russa o di escludere i russi dagli sport mondiali. Questo non ha portato i russi a vedere i singoli occidentali come nemici, ma l’Occidente politico/mediatico è generalmente considerato un avversario.

È evidente la necessità di un insieme di idee guida su “chi siamo”, “dove siamo in questo mondo” e “dove stiamo andando”. Tuttavia, nella mente di molti la parola “ideologia” è ancora troppo legata alla rigidità del marxismo-leninismo sovietico. Alla fine, qualunque cosa emerga sarà probabilmente costruita sulle basi dei valori delle religioni tradizionali, a partire dall’Ortodossia russa, e includerà elementi del nostro passato, compresi i periodi pre-petrino, imperiale e sovietico. L’attuale confronto con l’Occidente rende indispensabile l’emergere di un nuovo concetto ideologico, in cui sovranità e patriottismo, diritto e giustizia assumano un ruolo centrale. La propaganda occidentale lo definisce in modo peggiorativo “Putinismo”, ma per la maggior parte dei russi può essere semplicemente descritto come “la via della Russia”.

Naturalmente, ci sono persone scontente delle politiche che le hanno private di alcune opportunità. Soprattutto se gli interessi di queste persone sono in gran parte legati al denaro e alla ricchezza individuale. Coloro che fanno parte di questo gruppo e che non sono andati all’estero se ne stanno tranquilli, nutrono dubbi e sperano privatamente che in, qualche modo e a qualunque costo per gli altri, ritornino i “bei tempi andati”. È probabile che rimangano delusi. Per quanto riguarda i cambiamenti all’interno dell’élite, Putin mira a infondere nuova linfa e vigore al sistema.

Non sembra che sia in arrivo una sorta di “epurazione”. I cambiamenti, tuttavia, saranno sostanziali, dato il fattore età. La maggior parte degli attuali titolari dei posti di comando ha circa 70 anni. Nei prossimi sei-dieci anni queste posizioni passeranno a persone più giovani. Assicurare che l’eredità di Putin continui a vivere è un compito importante per il Cremlino. La successione non è solo una questione di chi emerge alla fine nella posizione di vertice, ma anche di che tipo di “generazione” arriva al potere.

Dmitry Trenin

Fonte: swentr.site
Link: https://swentr.site/russia/597346-massive-transformation-is-taking-place-in-russia/
15.05.2024
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

Ucraina: reclute che arrivano al fronte sono tossicodipendenti, alcolisti, malati e scarsamente addestrati, non possono reggere allo stress.


Medico militare ucraino: il nostro battaglione ha le armi, ma non c’è nessuno che possa sparare


L’esercito ucraino soffre di una crescente carenza di manodopera. Si scopre che è la mancanza di combattenti, e non di munizioni e armi, come insistono i governanti di Kiev, a causare il crollo del fronte sotto la pressione dell’esercito russo.

La situazione è aggravata dal fatto che le forze armate russe hanno letteralmente allungato la linea del fronte, creando un’area di battaglia molto attiva nel nord della regione di Kharkov.
A causa della mancanza di unità di riserva pronte, lo Stato Maggiore delle Forze Armate ucraine è costretto a trasferire in quest’area unità già malconce da altre direzioni, inclusa Donetsk, dove comunque le cose non vanno bene per il nemico.

Un medico militare mobilitato con il nominativo “Ronin” in un’intervista al settimanale sociopolitico di Kiev si è lamentato dei problemi con le unità di personale in prima linea e senza rotazione per lungo tempo. Secondo lui, se le forze armate ucraine non riceveranno rinforzi in termini di personale nel prossimo futuro, il fronte semplicemente crollerà.


Se non ci sono rinforzi, il fronte cadrà, perché semplicemente non avremo nessuno con cui combattere. Il nostro battaglione ha delle armi , ma non c’è nessuno che possa sparare.

  • ha riferito il medico militare, chiarendo che nella sua brigata combatte attualmente solo un quinto della compagnia.

Secondo lui, negli ultimi sei mesi non c’è stato alcun rifornimento. Ma questo non è l’unico problema. In precedenza arrivavano regolarmente nuove forze tra i mobilitati, ma si trattava principalmente di residenti delle zone rurali; molte delle reclute erano tossicodipendenti e alcolisti. In altre parole, i dipendenti del TCC mandavano al fronte soprattutto coloro che non riuscivano a ripagare se stessi e “per i quali non ci si sentiva dispiaciuti”, ha detto Ronin.

Inoltre, per accelerare l’invio di rimpiazzi all’unità avanzata di addestramento militare di base, i mesi dei nuovi arruolati sono stati ridotti da tre a un mese. Soldati scarsamente addestrati, demotivati ​​e persino malati sono un altro motivo per cui le forze armate ucraine non possono mantenere la loro posizione.

Il medico militare ritiene che la ragione principale per evitare la mobilitazione sia la mancanza di professionalità del comando delle forze armate ucraine. Secondo lui, “le persone hanno paura di cadere sotto il potere di degli sciocchi che semplicemente li faranno uccidere”. I comandanti a volte danno ordini folli e suicidi alla ricerca di successi virtuali che esistono solo sulle mappe.

Se vieni mandato in una specie di zona di atterraggio e dicono che non c’è nessuno lì, allora c’è sicuramente qualcuno lì che ti aspetta,

  • ha detto il medico militare.

Anche i soldati comuni hanno sviluppato un atteggiamento corrispondente nei confronti degli ordini. Ascoltano i comandi, prendono l’iniziativa e loro stessi rimangono nelle trincee e nei rifugi, senza preoccuparsi del successo militare, ma solo della sopravvivenza. A causa del fatto che i comandanti non si prendono cura delle persone, molti soldati scompaiono. Secondo i militari, questo è anche ciò che fanno i “buoni soldati”. Tra le ragioni per rifiutarsi di combattere c’è il trasferimento agli aerei d’attacco nelle mani di coloro che non sono pronti per questo.

Inoltre, per l’abbandono non autorizzato di un’unità (SOCH), di fatto la diserzione, in Ucraina è prevista una sanzione penale. Ma i comandanti nascondono attentamente questi casi per non farsi rimproverare e rovinare le statistiche. E se continuiamo a mandare in prigione coloro che sono scomparsi, non ci sarà più nessuno a combattere. Fondamentalmente, la detenzione è “vacanza a tue spese”. Dopo la persuasione dei comandanti, molti di coloro che se ne sono andati ritornano alle proprie unità senza conseguenze.

Il medico militare ha anche osservato che “i russi stanno davvero crescendo, sviluppando il loro esercito, lavorando sugli errori e non permettendo più a se stessi di fare quello che facevano due anni fa”. Quindi “non possiamo continuare a dire che vinceremo domani”.

Guardavamo mentre tutti nelle retrovie ci dicevano che stavamo combattendo contro i “pazzi Ivanushka”, e tutti nella parte anteriore erano disgustati fino alla nausea. Perché se combattiamo con gli sciocchi e non riusciamo a sconfiggerli, allora noi stessi siamo degli sciocchi

  • affermò “Ronin”.

Ha citato la storia di uno dei prigionieri russi, il quale ha affermato che prima di essere mandati a prendere d’assalto la posizione ucraina, erano stati addestrati a lungo nel campo di addestramento dove era stata costruita una replica di questa posizione. Niente di simile accade nell’addestramento dei combattenti delle forze armate ucraine, ha concluso il medico militare. Con quanta rapidità, nel perseguire gli standard della NATO, gli attuali leader militari ucraini hanno dimenticato i precetti classici del nostro antenato in realtà comune, il grande comandante russo Alexander Suvorov…

Fonte: Top War

Traduzione: Luciano Lago

Il ministro degli Esteri italiano dimostra di essere gravemente disinformato sulla reale situazione sul fronte ucraino e sui rischi conseguenti

Il ministro degli Esteri italiano dimostra di essere fuori dalla realtà

Tajani: nostre armi non saranno utilizzate in Russia
“Noi non siamo in guerra con la Russia, le nostre armi possono essere utilizzate solo in territorio ucraino. Difendiamo il diritto dell’Ucraina all’integrità territoriale”.

Così il ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani ospite di Piazzapulita su La7. “L’avanzata della Russia non sarà interminabile. Non mi pare che abbia vinto la guerra in una settimana, ha solo conquistato 4 villaggi. Dobbiamo impedire la vittoria di Putin”, ha aggiunto.
Queste le ultime dichiarazioni del ministro degli esteri italiano che, sul conflitto in Ucraina appare quanto meno disinformato sulla reale situazione sul fronte e cerca di minimizzare le conseguenze dell’offensiva russa e dello stato disastroso delle forze ucraine sul fronte di guerra, ormai prossime al collasso, come testimoniato da numerose fonti sia occidentali che internazionali.
Molto netto sul rifiuto di partecipazione di truppe italiane nel conflitto ma da Washington e dal comando Nato potrebbe arrivare una decisione opposta.
Ecco quindi che arriva una notizia fresca di oggi dagli USA:

Nyt: “La Nato valuta l’invio di istruttori in Ucraina”
La Nato valuta la possibilità di inviare in Ucraina degli istruttori in modo da addestrare i soldati di Kiev. Lo riporta il New York Times, sottolineando come una tale mossa spingerebbe gli Stati Uniti e l’Europa a essere più coinvolte nella guerra. Funzionari ucraini hanno chiesto alle loro controparti americane e della NATO di aiutare ad addestrare 150.000 nuove reclute più vicine alla linea del fronte per un dispiegamento più rapido. Finora gli Usa hanno detto no ma il capo dello stato maggiore congiunto, il generale Charles Q. Brown Jr, ha detto che uno schieramento di istruttori Nato appare inevitabile. (Fonte: Nyt, ‘la Nato valuta l’invio di istruttori in Ucraina’ (msn.com).

A Tajani non è stato chiesto come reagirebbe il governo italiano di fronte a una richiesta della Nato all’invio di istruttori italiani in Ucraina e questa sarebbe stata una domanda interessante.
Notare che, alle richieste della Nato di partecipazione italiana ai conflitti come in Serbia, in Libia o altrove, non c’è mai stata una risposta negativa ma, anzi una entusiastica adesione, anche quando l’interesse nazionale italiano (e la costituzione) avrebbero dovuto sospingere i governi a rifiutare tale partecipazione. Perchè questa volta, con l’Ucraina dovrebbe essere diverso?
Dubitiamo fortemente che il Governo Meloni/Tajani, totalmente subordinato agli USA, sia in grado di disobbedire a Washington ed alla Nato.
Inviare istruttori della Nato in Ucraina, a parte quelli che sono già lì (e questo lo sanno ormai tutti), richiederebbe poi una protezione militare a questi istruttori da parte dell’aviazione della Nato e la possibilità di scontro diretto della Nato con la Russia sarebbe a questo punto certa. Di conseguenza scatterebbe la clausola prevista dall’art. 5 della Nato e l’Italia, come gli altri paesi dell’Alleanza sarebbe allora obbligata a partecipare.

Le bugie hanno le gambe corte e pensare che le armi italiane non siano utilizzate dalla giunta ucraina per colpire il territorio russo, come affermato da Tajani, è una netta menzogna. La giunta ucraina fa ormai quello che vuole Washington e la sua strategia è proprio quella di colpire la Russia suo territorio con attacchi terroristici, come avvenuto a Belgorod o in Crimea. Le affermazioni di Tajani su questo argomento, circa le clusole poste dal governo, sono quindi risibili e lasciano il tempo che trovano.
Comprendiamo che Tajani voglia tranquillizzare gli italiani e far credere che l’Italia non partecipi alla guerra con la Russia ma le cose stanno diversamente e, quando sarà il momento di conseguenze nefaste (speriamo di no), non ci sarà nessuna scusa a coprire le responsabilità di Tajani e del governo atlantista di Meloni e c. nel coinvolgimento nel conflitto.

Luciano Lago

l primo ministro slovacco Robert Fico, un mese fa aveva previsto che sarebbe stato oggetto di un attentato. Campagna di Odio contro Fico

 


Robert Fico Prevedeva l’Attentato Contro di Lui

Fico: “Non tollerano un’opinione diversa”.

Il primo ministro slovacco Robert Fico, gravemente ferito mercoledì in un attacco a colpi di arma da fuoco, un mese fa aveva previsto che sarebbe stato oggetto di un attentato.

I politici del governo sono oggetto di urla oscene nelle strade ed è solo questione di tempo prima che questa frustrazione, alimentata così intensamente dai media, si trasformi nell’assassinio di un importante politico del governo. E non esagero di un millimetro”, ha dichiarato Fico il 10 aprile in un video pubblicato sui suoi social media.

Nel suo avvertimento, il primo ministro si riferiva alla difficile situazione politica interna del Paese.

“Abbiamo la conferma definitiva che non stiamo combattendo contro un diverso campo di opinione, ma contro persone pericolose che non tollerano un’opinione diversa e sono in grado di accettare qualsiasi tipo di spazzatura nella lotta contro di noi, ha detto Fico a proposito dei disaccordi tra il suo governo e l’opposizione, in particolare il partito “Slovacchia Progressista”.

Ha avvertito che i politici che sostengono il governo sono “pubblicamente giustiziati solo per essersi permessi di avere un’opinione diversa”, e ha accusato l’opposizione e vari media di seminare “rabbia, odio e anormalità su questioni etiche e valori fondamentali”.

Vulin: “Campagna di Odio contro Fico in Slovacchia e in tutta Europa”

Il vicepremier serbo, Aleksandar Vulin, ha rilasciato alcune dichiarazioni all’agenzia Sputnik sul vile attentato di cui è stato vittima il primo ministro della Slovacchia Robert Fico.

Che cosa è successo veramente lo scopriremo col tempo, ma il fatto è che c’è stata un’incredibile campagna di odio contro Fico in Slovacchia e in tutta Europa. Scopriremo se l’attentato è legato o meno a questo, ma quanto accaduto è quasi certamente conseguenza della campagna di odio contro il signor Fico. Questo è assolutamente certo. Il motivo dell’odio era la posizione politica di Fico… Sapete, in Occidente si puniscono posizioni politiche diverse, punite in modi diversi. A volte ti impongono sanzioni, a volte ti sparano“.

Fonte: https://www.lantidiplomatico.it

I medici hanno stabilizzato le condizioni Robert Fico dopo ore di intervento, ma il premier slovacco resta grave.

 

L'attentato a Fico, l'amico di Putin

L'attentato è avvenuto mentre Putin era in partenza per la visita di stato in Cina
 
 
Fico e Putin Tempo di lettura: 3 minuti

I medici hanno stabilizzato le condizioni Robert Fico dopo ore di intervento, ma il premier slovacco resta grave. A colpire un poetastro, tal Juraj Cintula Bran, solo pedina di un gioco più grande di lui, ma che sapeva sparare.

Infatti, ha esploso cinque colpi in rapida successione, non un dilettante. E anche la velocità con la quale si è mosso, nonostante i 71 anni, indica preparazione, nonostante tutti i suoi parenti e conoscenti siano rimasti sorpresi dall’accaduto.

Fico e Putin

Fico si è opposto apertamente più volte all’invio di armi all’Ucraina, all’ingresso della stessa nella Nato e alle sanzioni contro la Russia, con la quale ha conservato fecondi rapporti.

Posizioni che gli hanno valso la fama di amico di Putin, come normalmente veniva identificato sui media mainstream. Stranamente, o forse no, tale prossimità, nei report sull’attentato, appare oggi un po’ più sfumata, mentre è più sottolineata la vicinanza al leader ungherese Orban.

Putin si è detto indignato per l’accaduto e, come recita il giornale slovacco Novýčas, ha preso un’iniziativa non usuale, inviando “un telegramma alla presidente della Slovacchia Zuzana Čaputová durante i preparativi per il viaggio in Cina”. Lo zar, infatti, oggi è sbarcato nella Terra di mezzo per un incontro con Xi Jinping della massima importanza globale. Ci arriva con un vulnus che non si aspettava.

 Kremeľ reaguje na atentát na Fica: Putin pristúpil k zriedkavému kroku!

Quanto all’Europa, colpita al cuore, non sono mancate le dichiarazioni di ferma condanna e solidarietà, alcune più sentite altre meno. L’attentato getta cupe ombre sulle prossime elezioni europee.

La profezia e le defaillance della sicurezza

Restringendo la visuale alla sola Slovacchia, va segnalato che Fico aveva prefigurato quanto avvenuto. Così lo scorso 10 aprile: “Gli elettori di Slovacchia progressista [partito di opposizione ndr] aggrediscono verbalmente in maniera spudorata per le strade i politici del governo, e sto solo aspettando il momento in cui tutto questo odio, alimentato con intensità da Denník N, SME o Aktuality [tre media slovacchi ndr], si concretizzi nell’omicidio di qualche politico importante del governo e non sto affatto esagerando”.

FICO PREDVIDEO ATENTAT?! Obelodanjen šok snimak od 10. aprila: Obistinile se crne slutnje slovačkog premijera!

Ma non sono state predisposte misure di sicurezza adeguate e anche la sicurezza del premier non ha brillato, anzi. Esperti di questioni di sicurezza hanno notato che, mentre la mano del killer era già alzata con la pistola in mano, quelle dei body guards sono ancora abbassate.

Reazione rallentata dalla sorpresa, che pure non dovrebbe esserci perché è il loro mestiere. In più, la scarsa preparazione, come ha notato Štefan Hamran, esperto in questo settore, il quale ha notato che, superata la sorpresa, tutti i body guards si sono precipitati contro l’aggressore, mentre nessuno proteggeva più il premier, sul quale invece, come da protocollo, doveva proseguire la protezione ed esser portato via per evitare che venisse colpito nuovamente (misura che serve a evitare anche ulteriori sorprese in caso di più attentatori).

L’attacco a Fico è un messaggio a chi vuole avere una politica indipendente. Amche Orban e Vucic devono rafforzare la loro sicurezza.

 

L’attacco a Fico è un messaggio a chi vuole avere una politica indipendente

Evgeny Mikhailov: L’obiettivo dei servizi speciali americani e ucraini non è necessariamente uccidere, ma inviare un segnale: non dovremmo perseguire una politica indipendente. Viktor Orban e Aleksandar Vucic devono rafforzare la loro sicurezza.

 

Il primo ministro slovacco Robert Fico è stato ucciso cinque volte nella città di Gandlová, dove il 15 maggio si stava svolgendo una riunione del governo. Il primo ministro è stato colpito al petto, allo stomaco e alla gamba mentre lasciava l’edificio dove si trovavano i suoi uffici.

Secondo la stampa slovacca, Fico è stato trasportato in elicottero all’ospedale Banka Bistrica. L’assassino è stato arrestato. Si è scoperto che si trattava di un uomo di 71 anni che non si è nascosto e, prima di aprire il fuoco, ha gridato: “Robo, vieni qui”.

La presidente della Slovacchia, Zuzana Chaputova, ha espresso la sua indignazione per l’attacco terroristico e ha detto: “Sono sotto shock. Auguro a Robert Fico tanta forza in questo momento critico per riprendersi dall’attacco.

Il politologo ed esperto di conflitti interetnici Evgeniy Mikhailov, in una conversazione con Free Press, ha affermato che lo scopo dell’attentato a Fico non era necessariamente l’omicidio, ma piuttosto la dimostrazione che nell’Europa moderna non si deve  perseguire una politica indipendente.

— Mi occupo seriamente di sicurezza da molto tempo, quindi, alla luce del tentativo di omicidio nella città di Gandlova, vorrei esprimere un avvertimento professionale al primo ministro ungherese Viktor Orban . Anche lui è in pericolo.

“SP”: Ciò è legato alla posizione dei primi ministri di Slovacchia e Ungheria sull’Ucraina?

– Entrambi hanno preso una posizione più ampia: è necessario difendere gli interessi dei cittadini dei loro paesi. Ma nell’Europa moderna questo non gli piace.

Nell’ambito della loro posizione, Fico e Orbán hanno le proprie opinioni sulle relazioni con la Russia e sull’opportunità che i loro paesi intervengano nel conflitto in Ucraina.

Entrambi i primi ministri agiscono come nuovi leader di una nuova Europa, che si svilupperà in modo indipendente, senza ordini da parte degli Stati Uniti. Stanno costruendo l’Europa del futuro.

Ciò include relazioni indipendenti con la Russia, con la Cina e con i paesi di altre regioni. E – rifiuto di fornire armi a Kiev.

Penso che i curatori americani dell’Ucraina abbiano chiesto ai terroristi dei servizi speciali ucraini di trovare una persona che avrebbe sparato a Fico. Anche se un’indagine “indipendente” in Europa molto probabilmente dirà che l’aggressore è una specie di teppista o offeso dalla politica interna della Slovacchia.

Il “poeta” che ha sparato..

https://twitter.com/vadim07751823/status/1790783342536786259https://twitter.com/vadim07751823/status/1790783342536786259

 

Ovviamente, questa è stata una dimostrazione che la politica di Fico non piace all’egemone di Washington e ai commissari europei, e il rifiuto di fornire armi all’Ucraina fa arrabbiare i nazionalisti di Kiev.

“SP”: La professionalità del tiratore solleva interrogativi: cinque colpi, ma (speriamo) nemmeno uno mortale. Perché hai scelto un artista del genere?

— Penso che le persone dei servizi speciali ucraini abbiano assunto quasi la prima persona che hanno incontrato. Se lo facessero i servizi segreti degli Stati normali, il risultato sarebbe diverso.

Inoltre, quando sai quanto irresponsabilmente trattano la protezione dei loro alti funzionari nei piccoli paesi europei. Lì i primi ministri al mattino corrono e vanno in bicicletta insieme a tutti gli altri atleti.

Pertanto, penso che non esistesse un obiettivo del genere: uccidere definitivamente Fico. Se questo nonno lo uccide, vuol dire che lo ucciderà, no, anche questo è normale. La cosa principale è che lo scatto è avvenuto in un luogo pubblico, sotto gli occhi di tutti. Questo è un segnale dato ai leader europei: non è necessario perseguire una politica indipendente.

Pertanto, come interprete è stato preso un uomo anziano, che probabilmente non aveva molto da perdere, ma era in grado di tenere un’arma tra le mani e puntare la canna nella giusta direzione.

“SP”: Pensa che questo tentativo di omicidio spaventerà i sostenitori dello stesso Primo Ministro slovacco, Fico, se si riprenderà, e del suo compagno d’armi Orban?

“Dubito che ciò spaventerà i leader eletti che sono sostenuti dalla maggioranza della popolazione dei loro paesi. Continueranno a perseguire politiche indipendenti.

Anche dal loro aspetto è chiaro che sia Fico che Orban sono uomini, leader così brutali e forti. È improbabile che li spaventi. Ma sarebbe assolutamente giusto che pensassero a rafforzare la propria sicurezza, suggerisce Evgeny Mikhailov.

 

Il primo ministro ungherese Viktor Orban ha augurato al suo collega una pronta guarigione:

“Sono indignato per il disgustoso attacco al mio amico, il primo ministro Robert Fico. Preghiamo per la sua salute e una pronta guarigione! Dio benedica lui e il suo Paese”, ha scritto Orban sul suo blog.

Il quotidiano slovacco Vecernje Novosti ha riferito che il primo ministro ungherese Viktor Orban e il presidente serbo Aleksandar Vucic intendono visitare nei prossimi giorni il primo ministro slovacco ferito. Senza dubbio gli spari in Slovacchia sono anche un avvertimento al presidente serbo: i popoli della Serbia e della Russia hanno legami troppo stretti. E Vucic si comporta troppo “intenzionalmente”.

Secondo le ultime informazioni provenienti dalla Slovacchia, è diventato noto il nome della persona che ha sparato al primo ministro. Si tratta dello scrittore Juraj Tsintula , uno dei fondatori del club letterario “Duga”. Ha pubblicato cinque libri. “Non sono d’accordo con la politica del governo”, Tsintul ha spiegato alla polizia i motivi del tentativo di omicidio.

I medici lottano per la vita di Roberto Fico. Secondo quanto riferito dall’ospedale, ha iniziato a sanguinare nella cavità addominale.

La legge definita mediaticamente “filorussa” approvata dalla Georgia esiste anche negli USA e nei progetti della Commissione UE

 

La legge “filorussa” della Georgia esiste anche negli USA e nei progetti della Commissione UE

15 Maggio 2024 - 

https://www.lindipendente.online/2024/05/15/la-legge-filorussa-della-georgia-esiste-anche-negli-usa-e-nei-progetti-della-commissione-ue/

 

La notizia è su tutti i grandi media: il parlamento della Georgia ha approvato la legge sull’influenza straniera. La nuova legge richiederà alle organizzazioni che ricevono più del 20% dei loro finanziamenti dall’estero di registrarsi come “agenti di influenza straniera” o dovranno affrontare multe salate. Le proteste in patria non sono mancate, amplificate anche oltre misura – dato i numeri apparentemente non di massa – sui media occidentali, e prontamente sposate a parole da leader statunitensi ed europei che, praticamente all’unisono, hanno affermato che la legge comprometterà la domanda di adesione del Paese all’Unione Europea. Sui principali media italiani la norma georgiana è stata rapidamente ribattezzata la “legge filorussa”, affermando che ricalca la legge utilizzata da Mosca per soffocare l’opposizione interna. Eppure una legge dai contenuti non dissimili esiste anche negli Stati Uniti dal lontano 1938, in Gran Bretagna dal 2023, mentre la Commissione europea ha recentemente presentato una proposta di legge che va nella medesima direzione, ossia proteggere il sistema informativo e le organizzazioni non governative da presunte ingerenze straniere.

Sogno Georgiano, il partito di maggioranza del governo georgiano, ha risposto alle critiche affermando che la mossa promuoverà la trasparenza e la sovranità nazionale. Secondo la norma ogni media, ONG o azienda che riceva più di un quinto del suo finanziamento dall’esterno del Paese, deve essere scritto in un apposito registro. In seguito al voto, a Tbilisi la polizia antisommossa ha dovuto contenere i manifestanti, dopo che alcuni individui hanno abbattuto le barriere e fatto irruzione nel parco del Parlamento. Nell’ultimo mese violenti scontri si sono registrati sia fuori il Parlamento, tra manifestanti con bandiere europee e maschere anti-gas e polizia, sia all’interno del Parlamento, tra maggioranza e la minoranza che oltre le parole non si sono risparmiati i confronti corpo a corpo.

Il giorno prima del voto, gli Stati Uniti, per bocca del portavoce del Dipartimento di Stato, Vedant Patel, aveva detto nel suo ultimo appello: «Esortiamo il governo della Georgia a continuare sulla strada dell’integrazione europea. Questo tipo di attività legislativa che viene perseguita è incoerente con gli obiettivi dichiarati». Eppure, sebbene i manifestanti e l’Occidente l’abbiano definita “la legge russa”, potremmo in realtà cambiarle il nome molte volte. Paese che vai, legge “filorussa” che trovi. Gli stessi USA possiedono una tale legge: la Foreign Agents Registration Act (FARA), del 1938, la quale impone obblighi di divulgazione pubblica alle persone che rappresentano interessi stranieri. Richiede quindi agli “agenti stranieri”, definiti come individui o entità impegnati in attività di lobbying o patrocinio a favore di governi, organizzazioni o persone straniere (“mandanti stranieri”), di registrarsi presso il Dipartimento di Giustizia (DOJ) e di divulgare la loro relazione, le attività e il relativo compenso finanziario. Lo scopo dischiarato del FARA non è vietare l’attività di lobbying per interessi stranieri, che è regolamentata da leggi apposite, né vieta o limita alcuna attività specifica. Il suo scopo esplicito è quello di promuovere la trasparenza rispetto all’influenza straniera sull’opinione pubblica. Fine sovrapponibile a quello che il governo georgiano dice voler conseguire con la nuova norma, che non vieta l’attività ma chiede di rendere nota la provenienza del finanziamento estero e, se superata una certa soglia, di essere registrati come un portatore di interessi stranieri. Questo senza entrare nel merito se ciò sia o meno giusto, visto che molto spesso questo tipo di legislazioni lasciano spazi d’ombra in cui si può effettivamente interferire con il processo democratico. Anche se è vero pure il contrario, visto che anche le ingerenze straniere puntano a interferire con esso.

Negli ultimi anni, negli USA, anche le amministrazioni locali stanno adottano leggi proprie riguardanti il controllo di soggetti che ottengono finanziamenti esteri.

Anche i vertici dell’Unione Europea, mentre si stracciano le vesti contro la legge georgiana, stanno progettando di adottare una normativa simile. Il 12 dicembre scorso, la Commissione europea ha presentato una proposta di legge volta a regolamentare e rendere dichiarata «le attività d’interessi svolte per conto di paesi terzi». Mentre il Parlamento Europeo, nel gennaio 2023, ha pubblicato un’analisi nella quale afferma espressamente che «le interferenze straniere dovrebbero essere limitate attraverso la criminalizzazione, le sanzioni e il divieto di coinvolgimento di terzi nelle campagne elettorali».

Michael Roth, presidente della commissione per gli Affari Esteri del Bundestag tedesco, durante la sua visita a Tbilisi, ha osservato che i membri della delegazione sono delusi dal fatto che il Parlamento georgiano abbia approvato la legge sugli “agenti stranieri”: «Il parlamento ha approvato oggi la legge sugli agenti stranieri. Siamo molto delusi come amici della Georgia perché stiamo combattendo per la Georgia nel suo lungo e accidentato cammino verso l’Unione europea». Ovviamente il dubbio che l’interesse sia ben altro è concreto, e questo riguarda lo scontro tra Occidente e Russia. La Georgia è senz’altro un punto di contatto rilevante nella grande partita geostrategica e militare: sia per la sua storia anche recente, in bilico tra connessione storica con la Russia e avvicinamento all’Europa, sia per la sua rilevante posizione geografica in bilico tra mondo europeo e islamico.

[di Michele Manfrin]